Ospito volentieri il collega Tagliavia con un intervento sulla situazione dei Franchising:
Arginare o annullare il fenomeno dei troppi franchising in odontoiatria è, purtroppo, tardi. La nostra categoria avrebbe dovuto organizzarsi almeno quindici anni fa, ma è prevalsa la “diaspora professionale”, e oggi la maggioranza degli odontoiatri pensa solo a difendere in solitudine il proprio studio. Recentemente ci sono stati dei tentativi tipo gruppi di acquisto per i piccoli-medi studi, ma non sono sicuramente decisivi per opporsi a questo stato di cose e, inoltre, credo non godano di buona salute. Sorvoliamo pietosamente sul ruolo degli ordini professionali.
A quell’epoca ci si doveva organizzare e battere i pugni sul tavolo per opporsi all’indecenza della nascita delle società di capitale, i cui vertici influenzano oggi le terapie degli odontoiatri, attraverso l’area commerciale-finanziaria; perché di questo si tratta, e non credo si possa smentire questo fenomeno.
A mio avviso, strettamente collegato alla proliferazione delle catene dentali, è la liberalizzazione della pubblicità che da informativa, ovvero nel limitarsi nel dare i recapiti del professionista, è diventata commerciale; cioè con la possibilità di pubblicare anche le tariffe e con l’utilizzo di vari supporti media. Per esempio internet, poster sul territorio, locandine, eccetera. Fin qui sembrerebbe un fatto relativamente positivo: aumento la mia visibilità e il giro di affari del mio studio, lavorando con coscienza. Ma c’è l’inghippo.
Infatti, è passato poi il concetto che la libera pubblicità metta tutti sullo stesso piano. Niente di più falso, perché chi è dotato di maggiori capitali può investire in grandi campagne pubblicitarie, con un vantaggio competitivo. Facile comprendere che lo studio medio-piccolo non può permettersi di mettere il faccione sorridente di una bella ragazza su tutti i tram della città. Pertanto, le grandi aggregazioni di capitali hanno questo vantaggio che, se la dobbiamo mettere sul piano prettamente commerciale, dato che si suona questa musica, è una forma di grave concorrenza sleale.
Le conseguenze di questo vantaggio competitivo sono molto evidenti, ma poco note alla maggioranza di chi deve scegliere a chi affidare le proprie cure dentali. La prima conseguenza è l’alterazione della qualità percepita dai candidati pazienti.
Infatti, il messaggio pubblicitario può influenzare, in senso positivo, la percezione della qualità su un dato prodotto o servizio, prima ancora di averlo comprato o provato. È noto da tempo, come attraverso il marketing, la pubblicità abbia lo scopo di condizionare le decisioni di chi riceve un messaggio promozionale, facendo leva su processi decisionali persuasivi e, dunque, passivi e inconsci. L’equazione è evidente: più si fa pubblicità, più si fa credere che nel dato studio si pratichi un’odontoiatria migliore di altri meno visibili, proprio attraverso quei meccanismi di condizionamento inconscio.
In sintesi, il candidato paziente si crea un’opinione positiva e fa una scelta a priori non basandosi più sulla testimonianza di chi abbia già ricevuto cure da un dato professionista (fama da passaparola), oppure dopo la sua conoscenza diretta, al quale eventualmente darà la sua fiducia (rapporto fiduciario sul quale nascerà l’alleanza terapeutica).
Visto che le norme attuali (di ispirazione UE), che hanno reso questo professione una prateria per investire capitali, non si possono cambiare, a mio avviso il tema pubblicità è uno dei pochi su cui farsi sentire oggi. Ovviamente tireranno in ballo la storia che in un regime di libero mercato non si può creare una sorta di tetto pubblicitario; e che lo stesso accade nella concorrenza in altri ambiti, per quanto riguarda le disponibilità economiche per fare pubblicità.
Si potrebbero valutare azioni per far comprendere, nelle opportune sedi, che la nostra non è un’attività basata sull’etica commerciale e, quindi, su regole tipiche del libero mercato tra imprese. Paragonare la concorrenza in odontoiatria a quella tra imprese è una mistificazione. Dimostrata questa differenza, anche la pubblicità dovrà essere messa a regime con regole eque, tenendo conto che il piccolo-medio studio non può permettersi gli stessi investimenti di una catena del dentale.
Forse questo cambiamento potrebbe creare un minimo di opposizione ai franchising, e ricreare le giuste basi del rapporto paziente-odontoiatra, ripristinando la centralità del rapporto paziente-odontoiatra, non più paziente-azienda dentale e, in subordine, con l’odontoiatra.
Per concludere, una riflessione sul fiume di denaro investito dalle numerose società di capitale. È intuibile come per una clinica avere una convezione con il SSN possa essere redditizio, ma ci riferiamo a prestazioni non odontoiatriche.
Quindi, come mai c’è questa tendenza a investire nell’odontoiatria – ogni giorno si scopre un nuovo marchio – che in Italia al 90% è a carico del paziente e vive una seria crisi?
Il nostro settore è in crisi non solo perché siamo in tanti ma, fondamentalmente, perché le risorse finanziarie della popolazione si sono drasticamente ridotte, a causa della contingenza economica negativa, la cui origine è nazionale e sovranazionale.
Tutta questa convenienza delle società di capitale a investire massivamente nell’odontoiatria lascia perplessi, e il fatto che molti di questi franchising abbiano come core business i contratti di finanziamento non dà una chiara spiegazione, mentre il trattamento odontoiatrico è solo un mezzo per sottoscriverli.
Per avere una risposta, dobbiamo rifarci all’aforisma di andreottiana memoria sul fatto che nel pensare male ci si azzecca quasi sempre?
Non resta che augurarci buona fortuna e buon lavoro.